Riccardo Muti: “La cultura è in deriva al basso, pensiamo ai giovani”

Riccardo Muti: “La cultura è in deriva al basso, pensiamo ai giovani”

E quello che fa è lanciare un allarme. “La cultura nel nostro Paese sta attraversando un periodo ancora più drammatico verso il basso” dice. È una “vergogna” che sia in vendita la casa di Lorenzo Da Ponte, il librettista di opere come il Don Giovanni e Le nozze di Figaro di Mozart. Lo si potrebbe chiamare il Mogol della lirica, lui lo definisce “un poeta …

E quello che fa è lanciare un allarme. “La cultura nel nostro Paese sta attraversando un periodo ancora più drammatico verso il basso” dice. È una “vergogna” che sia in vendita la casa di Lorenzo Da Ponte, il librettista di opere come il Don Giovanni e Le nozze di Figaro di Mozart. Lo si potrebbe chiamare il Mogol della lirica, lui lo definisce “un poeta che andrebbe studiato a scuola”. E poi non si sa cosa accadrà della casa di Verdi. “E sui media si parla dei rapper, dei Måneskin, o Maneskot, non della vera cultura italiana” tuona. Si sono chiuse orchestre (“nella sola città di Seoul ci sono 20 orchestre sinfoniche”, in Italia non così tante) e intanto si aprono conservatori, così “stiamo fabbricando disoccupati”. “Sono centinaia i ragazzi che vanno allo sbaraglio e potrebbero trovare una occupazione se si insegnasse musica davvero nelle scuole” dalle materne alle superiori “non con il piffero o cantando male Va’, pensiero. Ma insegnando a cantare insieme, avvicinando i bambini al mondo fantastico dei suoni” è convinto il direttore che ha guidato Maggio Fiorentino e Scala e ora la Chicago Philharmonic. D’altronde l’Italia “ha un passato che nessun altro Paese al mondo ha” e questo va difeso. Proprio a difesa dell’opera italiana, perché nel mondo sia considerata con lo stesso rispetto di quella di Wagner o Strauss, nel 2015 ha avviato la sua accademia che insegna ai giovani “la grande scuola di direzione d’orchestra italiana che non so se esiste più”. E che lui ha imparato da Antonino Votto, che lavorò con Arturo Toscanini che a sua volta conobbe Verdi e sono questi “segreti che non sono nei libri di direzione” che vorrebbe trasmettere. Con alcuni capisaldi: il primo è che bisogna fare le prove, non avere cantanti che arrivano due o tre giorni prima delle opere, il secondo che il direttore deve lavorare con il regista. “Non puoi arrivare all’esecuzione e dire non sono d’accordo con la regia. Prima o va via il regista o vai via tu” osservazione che sembra diretta al mai citato Alberto Veronesi, che quest’estate ha diretto bendato in polemica l’allestimento di Bohème. E poi basta solo chiamare nei teatri “tizio e caio che fanno marchette infami in Cina e Giappone” senza ricordare che “la qualità del teatro non viene dagli artisti che passano ma da orchestra, coro, ballo e sartoria di prim’ordine”. Stoccata anche alla non citata prima del 7 dicembre della Scala o comunque alle inaugurazioni che ormai “non sono il momento culminante di un fatto culturale ma il momento clou di un fatto mondano” dove importa chi “c’era o non c’era”. “Il mondo sta crollando – osserva – e non c’è spazio per cose superficiali: dobbiamo occuparci delle nuove generazioni. Se non li tiriamo su bene andremo a sbattere contro un muro”. E Muti “che fra poco tira le cuoia – conclude il maestro parlando di sé in terza persona – sarà contento di aver fatto qualcosa per il futuro dei giovani e la nostra cultura”. Il discorso è lungo e inizia con il ringraziamento a Miuccia Prada e il marito Patrizio Bertelli, un “ringraziamento dal mondo della cultura perché siete fra i pochi – dice loro – che lo sostengono”. Loro tacciono fino a una domanda su un possibile impegno per educare il pubblico. “E’ una riflessione che investe la politica, il governo. Noi siamo talmente piccoli che non possiamo sostituirci a quelli che dovrebbero pensare in modo diverso – risponde Bertelli – Sono riflessioni che dovrebbero impattare il pensiero di tutti ed evidentemente non è questo il momento”.